0

“The disruptor”, il perturbatore

 

Le trasformazioni radicali in mano a persone capaci d’influenzare i cambiamenti  

 

imagesYTF667X0

(foto da en.wikipedia.org)

(di Franz Foti)Se avete necessità di portare scompiglio per rigenerare all’interno di un’azienda o in un settore modi di fare, di agire e di pensare, si può fare ricorso alla figura del “disruptor”, cioè colui che ha la capacità di introdurre modificazioni radicali in tutta la struttura o solamente in parti di essa.

 

Il profilo del “disruptor”. In genere si tratta di un soggetto che ha un’età al di sotto dei 50 anni, nutrito di una forte motivazione, non allevato in incubatori di talento perché non segue particolari percorsi formativi e non si limita ad avere esperienza in un solo campo. Spazia in maniera fluida e intelligente nel suo campo di competenza, ma è pronto a saltare sul carro di qualsiasi altro settore che lo stimola. Il “disruptor” può essere raffigurato da un imprenditore, da un leader del pensiero– (thought leader) oppure da un semplice provocatore o da un soggetto bravo risolutore di problemi (problem solver) che svolge lavori manuali o di concetto, talvolta indipendentemente dal titolo di studio in suo possesso.

Il “disruptor” può agire da solo, ma, solitamente, si accompagna ad un apposito team dove ciascuno realizza il suo apporto interagendo con altri “disruptor”.

Qual è il suo compito. Per influenzare i cambiamenti radicali che vengono richiesti mette in comune le sue competenze in un processo collettivo in quanto le trasformazioni improntate alla radicalità non sono realizzabili singolarmente. Agisce attraverso gli strumenti della comunicazione, le idee e talvolta si assume il compito di reperire risorse per realizzare un determinato progetto coinvolgendo anche altri professionisti muniti di caratteristiche particolari, “disruptor” e non.

 

Come agisce. Il “disruptor” può essere di due tipi: soggetto d’azione, che agisce immediatamente dopo aver individuato la chiave del cambiamento radicale indicando contemporaneamente le cose concrete necessarie al cambiamento medesimo; soggetto concettuale, vale dire persona che pensa, spinto da una motivazione meno forte del primo e che agisce in tempi meno rapidi pur nell’ottica dell’agire, ma dopo aver effettuato ragionamenti accurati.  E’ evidente che un “disruptor” può possedere ambedue le caratteristiche, nel qual caso aumenta il suo valore.

 

Il processo di cambiamento. I mutamenti radicali incrociano molto spesso ostilità e segnali di negatività improntate a competizione, permalosità, culture arrugginite, rischi di depotenziamento altrui, inadeguatezza professionale, conflitti di competenze, scarsa cultura della cooperazione, incapacità della struttura a cogliere la valenza del cambiamento, paura dell’incerto che è più rassicurante delle cose certe. Di fronte a questi ostacoli, il “disruptor” non si piega e tira dritto per la sua strada senza farsi condizionare da chicchessia.

I processi di cambiamento il più delle volte non seguono un percorso di linearità e quelli di successo non sempre fanno intendere la quantità e la qualità che i “disruptor” hanno prodotto. Alla base dell’agire risiede fra i “dsruptor” una robusta fascia di coraggio perché realizzano idee e visioni coraggiose e, con altrettanto coraggio, assumono gli impegni necessari al successo dell’azione sapendo di portare spesso scompiglio nelle file aziendali, turbamento degli equilibri, sovvertendo talvolta anche il peso delle gerarchie.

I quattro tipi di “disruptor”. Il leader della sperimentazione: lavora in team; assume impegni coraggiosi; è un abile ricercatore di risorse adatte ai suoi progetti; è molto orientato all’azione; agisce con immediatezza superando anche ostacoli burocratici. Il provocatore: è concentrato maggiormente sulle idee che sull’azione assumendo spesso le funzioni di critico esperto; lavora parecchio sugli aspetti critici; spinge la soluzione con coraggio fin oltre i limiti; comprende tutti i risvolti teorici di un’idea “disruptive”; deve essere controbilanciato per essere riportato dentro i concetti del team. Il leader del pensiero: è portatore di progetti e idee di alto profilo che devono essere collocate nei livelli della realtà in cui si dovranno realizzare; è concentrato molto sulle idee “disruptive” in una visione più ampia, tesa a cambiare il mondo in quanto realizzabile in più partizioni, sia pure di natura diversa fra loro.

Il Problem solver: è un “disruptor” capace di individuare e intuire modalità applicative e realizzative  di proposte talvolta molto coraggiose e innovative. Ha la caratteristica di essere molto caparbio e motivato.

Trattasi comunque di figure professionali di talento, caratterizzate da alcune sfaccettature particolari a partire dalla capacità d’immaginazione e di concretezza, sempre finalizzate alla natura radicale del cambiamento. Ma si caratterizzano anche per la vocazione all’ottimismo, la passione, la sicurezza di sé.

I “disruptor” si presentano come soggetti di ampie vedute, sospinti alla loro attività dal desiderio di potere, di affermazione professionale di alto status, portati ad agire orientati verso il cliente. Muniti di ampia creatività e conoscenza tecnica. Mirano a conquistare il prestigio sempre più alto lanciandosi nella sfida al cambiamento e misurandosi nella contesa  verso i competitor .

 

Hanno la capacità di capire con immediatezza le cose che funzionano e quali no e al tempo stesso devono sentire  la passione che li spinge verso l’impegno totale al cambiamento radicale che dovranno  progettare e realizzare insieme ad altri loro colleghi, in un team in cui ciascuno è portatore di una propria idea, di altre visioni del mondo, altri punti di vista,  per confluire in una forte “capacità di disruption” collettiva su cui puntare.

Il “disruptor” agisce in un ambiente lavorativo in cui confluiscono diversi ruoli e ciascuno dei “disruptor” può essere interprete di soluzioni in più ambiti,  sempre con spirito interattivo, avulso da qualsiasi vizio di proprietà intellettuale della sua opera, aperto a tutte le soluzioni.

 

Con questa mentalità, all’insegna della valorizzazione delle differenze, in un ambiente teso alla creatività, nascono nuovi prodotti, nuovi servizi, potenzialità più alte di collaborazione professionale, relazioni interpersonali e collettive più intense, capacità di ridurre il carico burocratico delle procedure di ogni genere e si introduce una diversa mentalità dell’agire, del pensare, del progettare valori d’impresa, nel generare contatti, network, nuovi modelli di business.

 

E da questa concezione dell’uso intelligente delle risorse umane, soprattutto interne, potrà scaturire la rigenerazione dell’ambiente antropico, della produttività individuale e collettiva, una nuova dimensione manageriale, più partecipata, più orizzontale, meno verticistica e, forse, meno arrogante e più orientata verso obiettivi credibili e di prospettiva, soprattutto a favore dell’utenza e del sistema Paese.

Si tratta di ricercare un nuovo baricentro aziendale, culturale, manageriale, di democrazia  gestionale delle risorse umane, di mentalità progettuale ed operativa, fatto d’intelligenza e cooperazione, di cui il sistema bancario sembra averne un urgente bisogno. Basterebbe una buona dose di coraggio.

 

 

Share Button

Mauro Carabelli

Giornalista

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *