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“La grande bellezza”, cinema italiano di nuovo in cattedra

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L’opera di Sorrentino nella Mecca del cinema, interpretazione geniale del nostro costume

(di Franz Foti) Gli italiani hanno ormai assunto un atteggiamento disincantato e talvolta di ostilità di fronte ai fenomeni sociali che ci riguardano, costume compreso. Atteggiamento che si trasferisce e si trasforma in scetticismo verso tutto ciò che ci circonda, cinema, arte, cultura, come per la politica. La mediocrità della classe dirigente, talvolta ci si mette anche la sua inettitudine, ci trascina nel pessimismo che ci spinge sino all’autolesionismo.

Capita dunque che anche le opere d’arte passino inosservate o relegate nella routine delle cose che non generano più grandi emozioni, pensiero. E’ capitato anche al capolavoro di Sorrentino e al suo splendido cast del film “La grande bellezza”. In tanti non avrebbero scommesso un soldo bucato sulla sua meravigliosa ascesa al Golden Globe. Tanto meno i francesi che a Cannes non hanno certo riservato ovazioni per la sua opera, offuscati probabilmente dal loro inossidabile nazionalismo che non gli consente di apprezzare l’opera di costume.

Ma in questo calendario delle occasioni perdute ci metterei certa critica italiana che, sia pure nel pieno della sua libertà di esaltare, stroncare o intiepidire gli entusiasmi del pubblico, non sempre si abbandona agli apprezzamenti dei nostri prodotti cinematografici, quando meritano, naturalmente. Ricordo che molto tempo fa è capitata la stessa cosa per il film meraviglioso di Giuseppe Tornatore “Nuovo cinema paradiso”.

Ci fu allora chi lo paragonava  a un’opera melodrammatica, tardo romantica, storia di periferia e galleria di personaggi di scarso rilievo universale. In verità non ho mai fondato le mie emozioni e le mie scelte sui suggerimenti della critica e mai lo farò. Ormai sono in pochi a esaminare il cinema senza il filtro della saccenteria e della presunzione di superiorità professionale e culturale, vizi di chi maneggia un qualsiasi pezzo di carta o tastiera posizionati in qualsiasi scala di potere d’influenza.

Un tempo vigeva il potere di veto della censura che stabiliva, molto spesso, che una pellicola sarebbe andata a finire nel macero  a insindacabile giudizio di poche persone tra le quali si “annidavano” i critici di carriera o di parte politica. L’opera, in quanto prodotto culturale, veniva considerata prodotto politico capace d’influenzare e come tale doveva essere sottoposta al vaglio dei “supremi giudici. Se poi c’erano risvolti sessuali “inquietanti” apriti cielo. La stroncatura era quasi automatica.

Ora vige lo strapotere dei critici che non sempre analizzano, osservano, scrutano con imparzialità e avvedutezza professionale. La visibilità di cui godono sembra essere lo scettro dei potenti che viene brandito a seconda degli umori, senza capo e né coda. Qualcuno è ancora in sella dopo più di cinquantenni di “onorato o disonorato servizio” . In particolare ne ricordo uno cui si rivolse Pier Paolo Pasolini, nei primi anni ’60, con un epigramma che diceva: “Sei così ipocrita che quando l’ipocrisia ti avrà ucciso sarai all’inferno e ti crederai in paradiso”.  Forza Sorrentino!    

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Mauro Carabelli

Giornalista

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