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VADO AL MASSIMO, Vizi e virtù di un Runnerdipendente: un monologo tutto di corsa

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Paolo Mazzocchi interpreta se stesso un irriducibile runner nellappuntamento con la rassegna di Speakeasy al Teatro Santuccio di Varese

 

(di Federico Moretti) Paolo è un runner che non ricorda esattamente il momento in cui ha iniziato perché «sono passati troppi chilometri», ma ricorda la fatica delle prime volte e quella domanda che – quasi fosse un mantra – accompagnava ogni sua uscita:”Chi me l’ha fatto fare?” Ciò nonostante, l’istinto lo spronava con insistenza a continuare e niente l’ha più fermato… a prescindere dalle condizioni atmosferiche: è sempre la stagione perfetta per correre. Corsa, senza una meta precisa e libera da qualunque imposizione, che non intende affatto proporsi come una metafora della vita. È la vita stessa.

 

I benefici che trae dalla corsa non riguardano soltanto il benessere fisico. Correre migliora la qualità e allunga l’aspettativa di vita, però i motivi che spingono a diventare un runner sono diversi per ognuno — come rappresentato dai tre “colleghi” che Paolo incontra e saluta quotidianamente, ma dei quali non conosce neppure il nome. È un’attività individuale che, tuttavia, rende più sensibili nel rapporto con gli altri che ti spronano a continuare. Magari, mentre partecipi a delle gare amatoriali dove (per la maggioranza dei partecipanti) l’agonismo è posto in secondo piano.

 

La passione di Paolo Mazzocchi – autore e interprete del monologo – è nata da esigenze teatrali, a Trieste, provando una piéce molto impegnativa: al termine delle prove aveva sempre il fiato corto e, così, ha pensato d’iniziare a correre. L’abbiamo scoperto durante l’aperitivo, organizzato da Edizioni dEste, quando l’attore ha risposto alle domande di Annalisa Brugnoni. La corsa è diventata un dovere, un’ossessione… ma gli ha permesso di riscoprire l’abitudine alla fatica che aveva e abbiamo perso. Tanto che tutti gli spettatori gli domandano come possa reggere un tale sforzo.

 

Sì, perché Paolo recita correndo per il novantacinque per cento dello spettacolo – che dura circa un’ora – e non ne esce distrutto. Le ripetute fasi di volo-atterraggio-trauma della corsa non lo piegano: cosa potrebbe fermarlo? Non certo la fatica, bensì il valore che attribuisce a questa disciplina. Smetterà giusto quando non ne sentirà più il bisogno… e se ha voluto portare questa sua passione a teatro è per l’esigenza di trasmettere la propria esperienza con «originalità nella semplicità» senza quelle inutili montature d’altre rappresentazioni che aveva scritto in passato.

 

Il rapporto di Paolo con la corsa è paragonabile a quello d’Andrea Fogarollo – autore de ALAN – storia di un sogno – col ciclismo: le sensazioni avvertite dai due sono simili, ma cambiano le abitudini. Il suo amore per la bicicletta, spiega, è nato da bambino quando osservava gli atleti del Giro d’Italia a Chiavari. L’asperità dei mesi invernali lo costringe alla pausa dal suo «yoga» fra dicembre e febbraio che è anche un’esigenza fisiologica. Subentra la passione per un “mezzo”, la bici, che assume i caratteri del feticismo nell’ossessione per i telai ALAN descritti nel libro.

 

Lo scrittore ha regalato alla platea degli aneddoti – contenuti nell’opera – sull’azienda di Saccolongo (PD) che rivoluzionò i telai delle biciclette, introducendo per prima negli anni ’70, l’alluminio e la fibra di carbonio. Furono 31 i titoli mondiali vinti dagli atleti in sella alle bici prodotte da ALAN, cui attribuire anche i successi di Moreno Argentini su Colnago Carbitubo nel 1992 e quelli dei ciclisti sulle Bianchi nello stesso periodo. Un testo che spazia dai record di Giuliano Calore alla simbiosi dell’autore con un oggetto che, come un libro, non può essere venduto.

 

 

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Mauro Carabelli

Giornalista

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