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L’insostenibile abolizione delle province

La Corte dei Conti boccia il disegno di legge Delrio sull’abolizione delle province. L’Upi, non c’è nessun risparmio ma si spenderebbe di più.

provice-accorpamentiNon poteva che finire così. La Corte dei conti ha bocciato il disegno di legge Delrio riguardante l’abolizione delle Province. Il giudizio della Sezione autonomie della magistratura contabile è inequivocabile: qualora il disegno di legge “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni” dovesse entrare in vigore non vi è la possibilità del pur minimo risparmio per gli enti.

Secondo la Corte dei Conti, anzi, sussisterebbe il concreto rischio di confusione amministrativa e aumento della spesa pubblica. Giudizio tranchant, per altro non lontano dalle analisi di UPI (Unione Province Italiane) che con il DDL prevede anche l’aumento dei disservizi oltre che la riduzione “anticostituzionale” di spazi di democrazia rappresentativa, in un periodo di transizione di cui non è dato cogliere i limiti temporali.

Il punto in cui sta crollando il castello di carte, costruito anche in questo caso da mani “tecnicamente” incompetenti, è la logica insita nell’impianto di redistribuzione delle competenze e relativa alla riorganizzazione di una articolata e delicata governance territoriale. Fino ad oggi, infatti, il decentramento amministrativo, di cui le province sono uno snodo fondamentale – a prescindere dai rumori di pancia di una piazza strumentalizzata e spesso istituzionalmente analfabeta tanto quanto i suoi agitatori – ha permesso ad aree transcomunali sostanzialmente omogenee, di gestire in modo razionale problematiche trasversali in tema di mobilità, edilizia scolastica, servizi sociali, ambiente senza pesare esclusivamente sui comuni, in particolare quelli più piccoli,  per altro già messi in ginocchio oggi da un rigidissimo  patto di stabilità.

Le province insomma, pur con qualche macroscopica eccezione, hanno rappresentato nella visione di una governace decentrata l’anello di congiunzione del piccolo (il Comune) con il grande (la Regione) garantendo l’erogazione e la gestione di servizi al cittadino secondo un principio regolatore sussidiario.

Quando si è voluto, giustamente, spostare l’accento sugli sprechi si è adottata però una medicina peggiore di una malattia già diffusa, a onor del vero, in tutte le pieghe dello Stato soprattutto nelle tasche profonde dei super manager pubblici. Così si sono colpevolizzate demagogicamente le sole Province i cui costi, stando ai dati delle UPI, nel 2012 hanno superato di poco i 10 miliardi, a fronte di un costo dei Comuni di 65 miliardi e delle Regioni di 163 miliardi. Dunque un peso relativamente basso nella spesa globale dello Stato. Costi, quelli delle Province, che non scomparirebbero con l’abolizione di queste ultime perché già il passaggio da 107 Province ad almeno circa 700 Unioni dei Comuni, come previsto dal DDL, farebbe, da una parte, aumentare in maniera incontrollata ed esponenziale la spesa pubblica e, dall’altra, crollare vertiginosamente l’efficienza, la qualità e la garanzia stessa di pari diritti.

province-sprechiUna volta cancellate le Province, si dovrà comunque far fronte alla gestione dei 5.179 edifici scolastici composti da 117.348 classi che accolgono 2.596.031 alunni; si dovrà pur gestire la manutenzione delle decine di migliaia di km di strade provinciali spalmate lungo lo stivale. E come affrontare poi la delicata gestione ambientale di aree omogenee formate da più comuni? Di certo sappiamo, secondo le stime di UPI, quanto costerà al paese unificare i comuni e istituire le aree metropolitane: 2 miliardi di euro, a fronte di un presunto risparmio annunciato dal Governo di 11 milioni, che saranno interamente pagati dal Paese.

2 miliardi di euro che, si badi bene, non si sostituiranno ma si aggiungeranno ai costi di gestione dell’ex territorio provinciale che altri dovranno comunque sostenere dopo che gli è stata decapitata la testa amministrativa. Ne sarà valsa la pena? Non nutrono alcun minimo dubbio Letta, Saccomanni e Delrio che ciechi di fronte all’evidenza si ostinano a farci credere che lo spostamento di competenze tra enti di differenti piani istituzionali avrebbe un impatto nullo sulle casse dello Stato. Ma la cosa è, conti alla mano, matematicamente insostenibile. Motivo in più per insospettire coloro i quali i calcoli li sanno fare, tant’è che alla Corte dei conti tale assunto “appare però tutto da dimostrare nella sua piena sostenibilità”.

 

Mauro Carabelli

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Mauro Carabelli

Giornalista

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