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Je suis Charlie, je suis la Liberté?

 

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La libertà vittima della strumentalizzazione e della violenza

(di Francesca Bianchi) Per quanto sottile, esiste un confine ben delineato tra satira e offesa ed è questo concetto che pare esser sfuggito a molte persone, in particolar modo agli estremisti islamici che poco più di una settimana fa -mercoledì 7 gennaio- hanno fatto irruzione nella redazione del Charlie Hebdo, noto giornale satirico francese.

Artefici dell’attentato due fratelli franco-algerini che si sono introdotti nell’edificio sparando contro quanti fossero all’interno. Scappati poi a bordo di un’automobile grazie all’aiuto di un complice, sono stati protagonisti di una serrata caccia all’uomo conclusasi con la loro uccisione in un conflitto a fuoco con le autorità. 12 sono in totale le vittime delle vicende che hanno coinvolto la capitale francese e 11 coloro che hanno riportato ferite.

Già gli anni precedenti avevano visto questa rivista diventare vittima dell’indignazione estremista  islamica a causa di alcune vignette raffiguranti Maometto, tant’è che nel 2011 la sua sede era stata devastata a causa di un incendio scatenato da una bomba molotov.

L’atto terroristico della settimana scorsa, rivendicato da Al Quaeda, ha colpito al cuore il popolo francesce che nonostante il lutto ne esce più forte di prima. “Dobbiamo essere consapevoli che la nostra arma è l’unità, niente potrà dividerci, separarci.”  ha detto il presidente francesce Francois Hollande, definendo la libertà come più forte della battaglia. L’unione è il punto focale su cui si concentra, trasmettendo l’immagine di una nazione compatta seppur consapevole di esser minacciata poiché patria delle libertà.

Peccato che tutto faccia pensare che si tratti di un’unità prettamente formale considerando il mancato invito di Marine Le Pen (leader del Front National, partito d’opposizione) alla marcia solidale organizzata domenica a Parigi.

Tante le personalità di spicco internazionale che ne hanno preso parte, tra cui, tra gli altri, il ministro degli Esteri russo Lavrov, il premier ungherese Viktor Orbán, il premier turco Davutoglu, tutti portavoce di governi che limitano f

ortemente la libertà di espressione nei loro Paesi.

Un modo come un altro per consolidare la propria immagine a livello globale, insomma.

Ma non sono soltanto gli esponenti politici ad aver manifestato il proprio cordoglio. Ovunque nel mondo migliaia di persone si sono riversate nelle piazze ed hanno espresso la propria vicinanza ai fatti di Parigi condividendo un unico ma importante messaggio.

Je suis Charlie. Io sono Charlie. Una piccola frase rimbombata in ogni angolo del mondo, espressione della volontà di far valere le proprie idee.

Ma molti non sono Charlie per ciò che questo è, per il suo essere irriverente, anticonformista e anti-religioso, ma per ciò che rappresenta. Una battuta di spirito o una provocazione nata dalla punta di una matita non può, e nemmeno dovrebbe, ricevere una risposta tanto impari quanto quella data da chi ha scelto di imbracciare un kalashnikov al posto della diplomazia.

Difendere le proprie idee è un diritto, usare la forza per sostenerne la supremazione è un’indecenza della condizione umana.

 

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Mauro Carabelli

Giornalista

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