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Epidemia e nuove generazioni, promemoria per il governo. Indagine dell’Università dell’Insubria.

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(di Franz Foti - Docente di Comunicazione pubblica e istituzionale, Università statale dell’Insubria di Varese.)

Sembra paradossale. Parlare di nuove generazioni, in era di corona virus, ci rimanda automaticamente a evocazioni come discoteche, aperitivi, assembramenti, movida. Dunque termini di significato negativo, appiccicati come etichette, tout court, alle dissennate  nuove generazioni accusate di egoismo esistenziale, imprudente senso di responsabilità verso se stessi e verso glia altri. In sostanza tutto ciò che sino a inizio d’anno fenomeni esistenziali quali le manifestazioni di gioia, di socialità, di scambio comunicativo, di divertimento, di romanticismo, assumevano un carattere positivo, espressione di vitalità esistenziale, in era di Covid cambiano letteralmente di segno per rientrare nella sfera della negatività e della sconsideratezza.

Coloro che muovono gli interessi di mercato e politici e che hanno spinto i giovani, e non solo loro, a sciogliere i vincoli del distanziamento, della pratica dell’igiene personale e collettiva, mascherina compresa, non sono inclini all’autocritica e ora, seppure in maniera meno arrogante, ma con la medesima insistenza, propongono misure per infilarci di nuovo nel terzo atto di un dramma collettivo. Fa sempre comodo individuare un bersaglio, i giovani in questo caso, e scaricare su di loro l’incapacità di stabilire che la salute è il bene comune supremo da tutelare.

In questi giorni, nell’Unione Europea, non si parla d’altro che di Next Generation e di programmi per il futuro, ma sono ancora troppo pochi coloro che conoscono effettivamente i bisogni reali espressi dalle nuove generazioni. E’ sulla conoscenza di questi bisogni che si è innestata l’indagine dei 201 studenti di Scienze della Comunicazione dell’Università dell’Insubria. L’indagine, che si è giovata del sostegno di un artista sensibile come Eros Ramazzotti,  si chiama “Covid Generation” ed è stata rivolta ai giovani compresi nella fascia d’età 18-30 anni.

Fra gli 8900 giovani che hanno risposto da tutta Italia,  risulta che il 10% del campione è munito soltanto della licenza media, dunque giovani che non hanno completato il ciclo di studi delle scuole superiori, mentre i diplomati sono il 55%. I laureati e i laureandi non vanno al di là del 35%. Emerge che il loro vissuto con il corona virus li ha sospinti nell’angoscia e nella preoccupazione (57%). Ma una parte consistente di questi giovani (40%) ha manifestato un grande spirito di adattamento segnalando un importante livello di consapevolezza esistenziale. L’indagine svela anche che il luogo comune secondo cui i giovani sono in massima parte votati a sfidare il virus con indifferenza riguarda solamente una sparuta minoranza (2,6%).

L’epidemia ha già lasciato il segno anche nei rapporti sentimentali. Covid-19 li ha intaccati e come. Il 23% del campione dichiara che si sono logorati o spezzati, mentre solo il 12% ritiene che siano migliorati. Si tratta di giovani che reputano soddisfacente l’operato degli ospedali nel fronteggiare il corona virus e che si sentono più vicini al Comune di appartenenza piuttosto che alla Regione e allo Stato rispetto ai provvedimenti che hanno adottato nel corso dell’epidemia. Sull’uso del vaccino il campione si è espresso nettamente a suo favore (64%), mentre solamente il 6% manifesta contrarietà.

L’indagine ha indagato anche sull’operato del settore dell’informazione in era di Covid-19. I giovani hanno risposto in maniera molto severa: il 77% lo giudica negativamente, troppo allarmistico, e solo il 23% lo ritiene positivo, equilibrato. Ma l’epidemia ha colpito anche il mondo del lavoro giovanile. Il campione sostiene di aver subito danni nel 15% dei casi: perdita di lavoro, rischio di perderlo e cassa integrazione. Il risultato dell’indagine rileva che i giovani valutano positivamente l’uso dello smart working (60%), ma sulle modalità di studio il 62% delle risposte sceglie la didattica in presenza rispetto a quella a distanza. Note di amarezza attraversano la valutazione del presente e l’immaginazione del futuro.  Il campione ritiene che i livelli occupazionali tenderanno a peggiorare (84%) e  il miglioramento viene percepito solo da due giovani su cento. Ma il pessimismo non si ferma su questi primi dati. Il futuro si tinge di grigio marcato perché il 44% dei giovani pensa che sarà caratterizzato da poche opportunità  e solo il 16% lo immagina con ottimismo. In questo quadro nebuloso si aggiunge un 32% di giovani che non è ancora riuscito a farsi un’opinione nei confronti della prospettiva e ciò può essere inteso come segnale d’incertezza.

Sono giovani però che vogliono adeguarsi al mercato del lavoro (63%) e intendono utilizzare le leve della formazione e dell’aggiornamento professionale (21%). Quel che preoccupa maggiormente è che 13 giovani su cento dichiarano la propensione a trasferirsi all’estero. L’indagine si chiude però con una parte propositiva nei confronti del governo. I giovani chiedono provvedimenti a sostegno delle imprese (73%), un piano di formazione rivolto alle nuove generazioni (67%), un programma articolato di risanamento ambientale (38%), investimenti nell’ambito dell’innovazione tecnologica e digitale (35%),  maggiore integrazione del nostro Paese nell’Unione Europea (21%) unitamente a un più consistente potere contrattuale nel seno dell’Unione stessa (17%).

L’analisi dei risultati dell’indagine traccia un profilo giovanile molto attento alla realtà economica, ambientale e sociale, attraversato da un significativo scetticismo, incardinato in un quadro di adattamento esistenziale  fortemente connotato d’incertezza e di preoccupazione. E lo scetticismo, come si sa, rischia di paralizzare i potenziali di chiunque, assottiglia le speranze, limita l’azione e la partecipazione, mina il patrimonio creativo e progettuale delle nuove generazioni. Qualcuno ci rifletta!

 

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Mauro Carabelli

Giornalista

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