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Cineforum: 8% di Fellini

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(mc) Emblematico il finale “circense” di “Otto e mezzo” (1963) di Fellini sulle note di Nino Rota. Il film probabilmente più autobiografico esposto com’è sul versante dei dubbi e dei tormenti dell’intellettuale o dell’artista in genere alle prese con la ricerca  di senso. Ma il tentativo di razionalizzare la vita entra in contatto con l’essenza del nichilismo ben rappresentato dalle parole dell’ipercritico Fabrizio Carini che riassume il fallimento professionale ed esistenziale del protagonista, il regista Guido Anselmi (Marcello Mastroianni): “Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni – dice l’intellettuale – che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto. A un artista, veramente degno di questo nome, non bisognerebbe chiedere che quest’atto di lealtà: educarsi al silenzio”. Il film proietta lo spettatore nella coscienza del protagonista e nel suo inconscio, dove realtà e sogno non smettono di toccarsi e di giocare tra loro, cercando di fondersi e di dare un significato dell’esistenza che Guido non smetterà mai di inseguire. E allora non silenzio ma musica e che lo spettacolo abbia inizio! La condizione sarà quella di accettare che tutto quello che gli accade intorno, tutte le persone che ha conosciuto e che con lui hanno percorso la strada della vita, nel bene e nel male, sono parte di lui. La pista circense rappresenta il perimetro cangiante di una sorta di mandala dove il sé di Guido è il centro da cui si dipanano tutti i rapporti umani in un infinito gioco di reciprocità. E tutto si ripete come in un  eterno ritorno che si rinnova come il direttore della banda rappresentato da un giovane musicista.

 

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Mauro Carabelli

Giornalista

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