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Professionisti, mondo senza confini, tra conservazione e rivoluzione

58-stpLa definizione. Ho pensato quale definizione avrebbe potuto coniare il grande “Edurdardo” per darci una dimensione reale, ironica e complessa, del professionista e l’ho immaginata così: “chillo chi ‘ssape buono e fatti suoie e sa dicere chell gli autri anna fà”. Mio cugino, che gestisce un maneggio, sostiene che il maniscalco rientra nell’area dei professionisti perché guadagna cento euro per ogni ora di lavoro e perché lo esercita in piena autonomia, senza dover rispondere a chicchessia. Ho eccepito, sostenendo che  il maniscalco rappresenta un’attività prevalentemente manuale, appresa con la pratica e il tirocinio. E dunque non è un professionista, altrimenti, di questo passo, l’Italia sarebbe un popolo di professionisti che si aggiungerebbe a quello già troppo carico di santi e navigatori.

Non siamo venuti a capo di niente e, come succede abitualmente, abbiamo parlato d’altro. Ma come si riesca a configurare un professionista è tutto da definire. Immagino che debba almeno possedere tre caratteristiche. Dovrebbe avere la responsabilità delle operazioni che propone o che realizza. Sarebbe obbligato a rispettare indirizzi tecnici, normativi e deontologici. Non dovrebbe essere soggetto ad autorità esterne circa la verifica delle fasi del suo lavoro.

liberi-professionistiIl professionista, dovendo fornire risposte adeguate e pertinenti all’argomento di cui si occupa, affiancando e facilitando il cittadino nella difesa dei suoi interessi, svolge un lavoro in prevalenza intellettuale. Ciò comporta,a sua volta, la  conoscenza approfondita di norme tecniche, operative, giuridiche, scientifiche,economiche e il possesso di un buon bagaglio culturale. Il tutto dovrebbe essere corredato di buona competenza e capacità di utilizzare al meglio ciò che si conosce sia dal punto di vista tecnico sia sotto il profilo normativo e pratico.  In definitiva un professionista dovrà essere una persona consapevole e competente che mette il cittadino in condizioni di potersi rapportare con qualsiasi istituzione, con se stesso, con le aziende  e con gli interessi collettivi, in maniera corretta, trasparente e tempestiva.

Il professionista lo immaginerei ancora come soggetto che aiuta a individuare e a superare le difficoltà cui si va incontro quotidianamente nella mondo esistenziale di ciascuno e della comunità. Lo immagino come colui che abbraccia la causa del singolo in un’ottica generale, seguendo principi d’eguaglianza, di rispetto della dignità della persona, che utilizza i suoi saperi con correttezza,  senza ingannare o danneggiare gli interessi dei cittadini e senza provocare svantaggi alle strutture per le quali lavora. Ora ci si potrebbe chiedere se un lavoratore dipendente può essere concepito come professionista e se in questa categoria possano rientrare figure come il bancario, il docente in ambito scolastico e universitario, il comunicatore pubblico e altre figure ancora. Potremmo domandarci se un lavoratore dipendente, da considerare professionista, debba avere un suo ambito contrattuale e come tale godere di aspetti remunerativi specifici. Intanto c’è chi vorrebbe una delimitazione netta e inespugnabile dell’universo professionistico per evitare inutili avviamenti alla disoccupazione, mascherando, non di rado, interessi corporativi, di casta. Il tutto a discapito delle nuove generazioni. E c’è chi vorrebbe abbattere le soglie di sbarramento della professione abolendo Ordini e Albi professionali, liberalizzando gli accessi alla professione. In mezzo c’è la giusta tutela dei diritti del cittadino e dell’intera comunità nazionale.

Franz Foti

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Mauro Carabelli

Giornalista

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