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L’altra faccia dei social

 

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Di Elisabetta Riva

Conoscete realmente l’identità dei vostri contatti Facebook? Sapete esattamente chi digita e parla con voi attraverso un monitor?

Al giorno d’oggi è difficile trovare qualcuno che non possieda almeno un account per ogni social network: abbiamo tutti un profilo Facebook con cui condividiamo pensieri, foto e comunichiamo con amici virtuali; in molti sono iscritti a Twitter, l’uccellino blu che consente contatti rapidi e stringati tra followers, facenti parte anche del mondo dello spettacolo; Instagram permette la pubblicazione di immagini e filmati, un po’ come Pinterest; LinkedIn agevola l’inserimento nel mondo del lavoro, conferendo agli utenti la possibilità di postare online curriculum vitae e profili professionali; MySpace e Google+ sono due “comunità” che offrono ai visitatori blog personali, profili, foto, musica e clip; recentemente è esplosa sul Web Snapchat, un’applicazione per chattare in tempo reale e condividere video o brevi storie registrate che si cancellano immediatamente dopo la visualizzazione.

“Social Network” letteralmente significa “rete sociale” e l’obiettivo di personaggi ormai influenti come Mark Zuckerberg e Kevin Systrom – rispettivamente fondatori di Facebook e Instagram – era quello di creare e consolidare rapporti, relazioni e amicizie in un contesto del tutto nuovo: il cyberspazio. L’entusiasmo è schizzato alle stelle quando abbiamo avuto concretamente la possibilità di contattare amici o parenti oltreoceano e Skype si è rivelato di grande aiuto perché consente la comunicazione in diretta, abbattendo le barriere territoriali che ci separano.

Attualmente la privacy sui social è indiscutibile: se all’esordio di Facebook – per esempio – “tutti potevamo essere amici di tutti”, ora una clausola del genere rasenterebbe l’eresia. Non sopporteremmo che sconosciuti o acerrimi nemici nella vita reale spiassero il nostro profilo e conoscessero i nostri pensieri o attività; ecco perché, già da qualche tempo, esiste la possibilità di personalizzare le impostazioni di riservatezza: siamo noi a scegliere chi ha accesso alle notizie, chi può aggiungere commenti e addirittura chi può inviarci richieste d’amicizia. Una forma di tutela che colpisce a segno, dal momento che l’utenza minorenne sta conquistando una larga fetta della rete: insieme al colosso di Zuckerberg – per fortuna – anche Instagram e Twitter fanno uso di profili criptati. L’utente riceve una notifica e, se interessato, accetta. Rimane valida l’opzione di rifiutare coloro che non rientrano nella nostra cerchia di conoscenze o che, volutamente e giustamente, vogliamo escludere dalle faccende personali che ci riguardano.

È importante acquisire la consapevolezza che ciò che postiamo su Internet diventa visibile anche sui motori di ricerca: digitando nome e cognome su Google, per esempio, i link indirizzano alla pagina Facebook; o ancora, effettuando una ricerca per immagini, non è raro trovare la nostra foto profilo tra i primi risultati.

Recentemente si è verificato un episodio raccapricciante: pochi mesi fa, tutte le mamme sono state invitate a condividere sui social alcune fotografie che le ritraevano con i loro bambini; apparentemente un’iniziativa carica di sorrisi e amore, si è trasformata invece in un’allettante occasione per numerosi pedofili di carpire immagini d’innocenti e pubblicarle su siti pedopornografici. Si è reso necessario l’intervento della Polizia Postale per ristabilire l’ordine – la quale ha ricordato la pericolosità insita nel divulgare pubblicamente l’identità di minorenni, ancor di più se in età prescolare.

Un monito che innesca una riflessione. Per quanto sia piacevole creare una rete comunitaria di amici reali e virtuali, non dimentichiamo che lo spazio cibernetico è un tunnel profondo e oscuro, fitto di pericoli e inganni, di personalità celate dietro schermi e pixels, di infidi truffatori o imbroglioni.

Catfish – False identità, una serie di documentari che sta spopolando sul canale MTV, propone fedelmente ciò che accade quando il Web e i suoi social diventano una trappola. Partendo dal presupposto che le storie raccontate siano reali e non delle ricostruzioni fittizie, l’idea dei produttori è quella di aiutare coloro i quali sono rimasti invischiati in una relazione – d’amicizia o d’amore – online. Se due persone “chattano” da diverso tempo, il passo immediatamente successivo è l’incontro; le testimonianze rilasciate durante la trasmissione rivelano sempre come uno dei diretti interessati non desideri conoscere di persona l’altro, quasi nascondesse un segreto.

E in effetti, nella maggior parte dei casi, per gli autori non è stato difficile smascherare i colpevoli: giovani donne o uomini connessi a Facebook con dei falsi profili e foto fasulle solo per il gusto di raggirare terze persone; ragazze ossessionate dal loro aspetto fisico considerato poco attraente che “rubavano” immagini – spesso di modelle – su Google spacciandole per personali; adolescenti confusi riguardo il loro orientamento sessuale che interagivano sulla rete senza considerare le ripercussioni sentimentali del loro atteggiamento subdolo; “amici virtuali” che chiedevano in prestito ingenti somme di denaro mai più restituito o che promettevano un’occupazione lavorativa mai ottenuta dagli sfortunati direttamente coinvolti, e chi più ne ha più ne metta.

I social network possono rivelarsi un’arma a doppio taglio. Il rischio è quello di incappare in rapporti molto difficili da gestire, perché  non avremo mai la certezza di conoscere fino in fondo i nostri interlocutori.

Il Network assomiglia a un grande oceano: o impari a nuotare o la corrente t’inghiottisce.

 

 

 

 

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Mauro Carabelli

Giornalista

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