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L’uccisione di George Floyd. Tra reazioni e dubbi

 

floyd

(Foto interris.it)

(di Mauro Carabelli) George Floyd è stato una vittima. Non c’è dubbio. E la sua famiglia merita giustizia. Non c’è dubbio. E il poliziotto che lo ha soffocato merita una condanna esemplare. Non c’è dubbio. Ma non facciamo di Floyd  un “eroe” rappresentativo  della comunità nera americana vista la sua fedina penale. Ci sono altri afroamericani molto più rappresentativi di lui. È, in estrema sintesi, il punto di vista del commentatore conservatore americano e attivista politico, l’afroamericana Candace Owens Farmer. Sempre che, di questi tempi, sia ancora permesso esprimere opinioni diverse. Dunque, nessuno merita di essere ucciso, soprattutto in quel modo, da un tutore dell’ordine. Tuttavia, è necessario inquadrare  il caso nel clima preelettorale delle presidenziali oltre che nelle reazioni violente che stanno sconvolgendo gli USA, evitando di considerare l’albero scisso dall’ecosistema in cui è stato abbattuto. Ritengo che, in questo particolare momento, il contesto sia soprattutto imbevuto di preconcetti e strumentalizzazioni politiche per indebolire Trump in vista delle elezioni. Che Trump piaccia o meno, Antifa e movimenti suprematisti neri, con la complicità mediatica di molte testate americane, hanno trasformato Floyd in una sorta di martire immacolato per saccheggiare e mettere a ferro e fuoco intere città con una strategia a dir poco insurrezionale. Poco importa sapere che la vittima è stata condannata cinque volte alla galera. Nel 2007 fece irruzione nella casa di una donna incinta e la minacciò puntandole la pistola sulla pancia. Nel giorno in cui è stato ucciso, Floyd era strafatto di fentanyl e metanfetamine. Per inciso, il fentanyl è uno stupefacente psicoattivo e psicotropo capace di modificare lo stato psico-fisico della persona alterando profondamente attenzione, umore, coscienza, comportamento. Che cosa può succedere con un cocktail ricco di potenti psicostimolanti come le metanfetamine? Comunque, Floyd è stato fermato dalla polizia su denuncia di un negoziante per aver pagato, sembra, della merce con una banconota falsa. I poliziotti che lo hanno immobilizzato fino a soffocarlo, secondo il loro rapporto, hanno blindato l’uomo perché si rifiutava di salire sull’auto della pattuglia. Tra l’altro, il poliziotto, che non dipendeva da Trump ma da una catena di comando del partito democratico, sembra che fosse collega di  Floyd come buttafuori in un night e ne conoscesse la reattività. Ciò non giustifica il brutale e letale soffocamento di Floyd, ovviamente. Così come non possono essere giustificati i metodi spesso brutali di molti poliziotti americani (neri e bianchi) che in sette anni hanno ucciso 7663 persone.  Ma a leggere bene i numeri si scopre che nella maggioranza dei casi le vittime sono white americans. Nel solo anno 2019, stando agli archivi del Washington Post, per mano della polizia sono morte ben 1004 persone. In alcuni casi i dati del Post non riportano l’etnia (in 202 casi su 1004). Se eliminiamo per praticità  202 “unknown” dell’anno scorso concentrandoci sugli 802 casi classificati per etnia, che rappresentano un campione comunque abbastanza corposo, la maggioranza (370) erano bianchi. Ma ciò non è bastato per evitare la reazione “antirazziale” su tutto il territorio nazionale dove si sono infiltrati gruppi estremisti particolarmente aggressivi. Di contro, potrebbero scattare anche le reazioni dei gruppi suprematisti bianchi armati fino ai denti e disciplinati militarmente come i militanti di Antifa. Con tutte le armi che girano negli USA, soprattutto con il desiderio degli opposti estremismi di arrivare alla soluzione finale che prevede l’annientamento totale del proprio irriducibile nemico, le prospettive di civil war non sono certamente tranquillizzanti. Trump sta pensando seriamente di mobilitare le forze armate, come del resto hanno fatto diversi suoi predecessori in forza dell’Insurrection Act che attribuisce al presidente degli Stati Uniti il potere, in casi eccezionali, di mobilitare l’esercito federale e la Guardia Nazionale per compiti di polizia. Si tratta di una misura firmata da Thomas Jefferson e invocata l’ultima volta nel 1992, per sedare le proteste a Los Angeles dopo l’assoluzione degli agenti che picchiarono a morte l’afroamericano Rodney King.t.  Il reale scenario della crisi è ricco di rapporti di forza e interessi di potere ben più inquietanti  e globali dove i “burattinai” che cavalcano la protesta  sono molto più potenti e aggressivi di uno stolto e violento poliziotto e non di meno  lo è la reazione basata sul “Law and Order” invocata da Trump. Come sono lontani i tempi della marcia su Washington in cui Martin Luther King si esponeva in prima linea predicando la resistenza non violenta e la pace tra neri e bianchi.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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