0

Giornate della memoria. Ma ricordiamoci chi siamo.

omicidio

(Mauro Carabelli) Le guerre e le rivoluzioni, anche quando si ammantano di fini liberatori più o meno accettabili, lasciano lungo il loro percorso atroci scie di sofferenza. Poco importa stabilire la validità delle ragioni dei vincitori rispetto a quelle dei vinti. I civili coinvolti, gli ammazzati sommariamente, i torturati , i “desaparecidos” e gli sfollati di ogni latitudine, a cose fatte, difficilmente possono essere rimossi, dimenticati, accantonati a seconda della bandiera quasi non avessero nulla a che spartire con le “massime ragioni” ispiratrici dei conflitti. Il dolore degli inermi non ha confini. L’elevato numero e le modalità con cui la maggioranza di loro venne massacrata e perseguitata deve rimanere nella memoria e rappresentare una profonda sconfitta etica, una piaga sempre aperta che intacca e infanga ogni divisa e ideologia. Se dovessimo quantificare le vittime della seconda guerra mondiale, tra militari e civili, toccheremmo una cifra attorno ai 71 milioni di morti di cui ben 48 milioni tra i civili! (Fonte: Joseph V. O’Brien, Dipartimento di Storia – John Jay College of Criminal Justice, New York, NY, USA). Ai morti vanno aggiunte le immani distruzioni materiali calcolabili in 230 miliardi di dollari. Ma a questa stima vanno menzionate le vittime che dal 1933 al 1945 hanno insanguinato per motivi etnici, religiosi, politici o semplicemente culturali i vari territori occupati. Tra le repressioni più impressionanti:  la mortale aggressione tedesco-sovietica subita dai polacchi, in particolare dalle classi colte; i tre milioni di prigionieri sovietici lasciati morire dai tedeschi; infine il dramma più grande, la shoah con l’uccisione sistematica di sei milioni di ebrei. Inoltre vanno ricordate, sebbene non sempre direttamente o del tutto riconducibili ad eventi bellici, le vittime delle purghe sovietiche. Nei gulag, secondo stime al ribasso, furono annientate non meno di 700.000 persone  pari al 10% degli arrestati. Nelle giornate della memoria è stato ricordato come tra i più  emblematici e disumani il genocidio perpetuato dai nazisti a danno di uomini, donne, bambini di origine ebraica. Ma sono state anche, è il caso di dirlo, riportate alla luce con determinazione le stragi sommarie di militari e soprattutto di  civili italiani autoctoni della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia, infoibati durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, dai partigiani jugoslavi e dall’OZNA (parte dei servizi segreti militari jugoslavi). La motivazione dei persecutori fu riconducibile alla necessità di eliminare sommariamente oppositori reali, potenziali o presunti tali alla “guerra di liberazione” dal nazifascismo e al conseguente sistema politico titino. Le stime delle vittime italiane, nella maggior parte civili, oscilla, a seconda delle fonti e delle interpretazioni storiche, tra le 5.000 e le 11.000 (comprese le salme recuperate  ma anche i morti nei campi di concentramento jugoslavi). Va sottolineato che al massacro delle foibe seguì l’esodo giuliano dalmata, ovvero l’emigrazione più o meno forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e lingua italiana dalla Venezia Giulia, dal Quarnaro e dalla Dalmazia. Si stima che gli italiani che emigrarono dalle loro terre d’origine, tra le 250.000 e le 350.000 persone,   non incontrassero grande accoglienza da parte dei loro connazionali e fossero trattati alla stregua di criminali “fascisti” da parte del PCI  filotitino di allora.  Sono numeri importanti sebbene non paragonabili all’estensione di altre persecuzioni. Ma, anche in questo caso, il problema  non è riconducibile solo alla quantità ma all’atroce qualità reattiva, persecutoria e omicida che ha caratterizzato i presupposti ideologici  di cui si sia servito o di quanto potrebbe ancora essere capace l’uomo, lo stesso che ha sterminato e perseguitato l’ebreo, l’italiano, il russo, il rom, l’omosessuale, il portatore di handicap, il controrivoluzionario finendolo nelle camere a gas, nelle foibe, nel gelo del gulag, di fronte ai plotoni di esecuzione, con l’emigrazione forzata. Il punto da evidenziare è proprio questo quando si vuole ricordare. Non ci sono solo vittime inermi da contare e celebrare, responsabilità ideologiche e politiche da condannare, vincitori e vinti da differenziare. Quando i discutibili e atroci mezzi si sostituiscono ai fini più luminosi, andrebbe scandagliata e neutralizzata quella profonda parte di tutti noi così proiettata verso grandi ideali ma istintivamente così arrendevole alle sue parti più buie e distruttive da trasformarci in mostri.

Share Button

Mauro Carabelli

Giornalista

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *