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Ucraina: soffiare sul fuoco o spegnerlo

 

2guernica

(Mauro Carabelli) Se continuiamo a ragionare sui principi violati, sui buoni e sui cattivi, sui martiri e sugli aggressori, sul resistere  e sull’aggredire, non si viene a capo di nulla e i morti continuano a chiamare altri morti. Non ci sono dubbi: c’è uno spietato aggressore, la Russia di Putin, e una vittima schiacciata in casa propria dai carrarmati dell’Orso, l’Ucraina di Zelensky. Ma c’è anche un percorso storico che ha portato a tutto ciò. Qui non si vuole “edulcorare” la prepotenza di Vladimir Putin, tantomeno si vuole arretrare senza colpo ferire, anche in questo caso per una questione di principio: non è accettabile rimanere inerti di fronte a un’aggressione di uno stato sull’altro perché si creerebbe un pericoloso precedente dove la forza dei cingolati avrebbe sempre la meglio sull’etica  delle democrazie. Detto questo, la crisi andrebbe conosciuta in tutte le sue sfaccettature altrimenti sarebbe impossibile trovare una via d’uscita che non sia quella legata alla logica delle armi anziché alle armi della logica. Intanto bisognerebbe conoscere il perché di tale criminale irruenza da parte dell’esercito russo sul territorio ucraino. Primo: Putin  può essere dipinto con le più  inquietanti sfumature di questo mondo ma non è uno psicopatico che, svegliandosi male al mattino, prende gratuitamente una decisione così nefasta quasi fossimo in una tragedia shakespeariana.  Secondo: l’Occidente si è sempre voltato dall’altra parte. L’Europa e l’America all’ombra della Nato,  non sono anime belle tanto da doversi sorprendere per una crisi che non hanno mai voluto per anni affrontare se non foraggiando con miliardi di euro e dollari l’Ucraina. Terzo: il governo ucraino nato da un putsch del 2014 ha di fatto attivato un effetto domino che ha prodotto migliaia di morti soprattutto tra russofoni. Quarto: l’Ucraina tirata da una parte e dall’altra, da Occidente e da Oriente, ha rappresentato per anni l’ambivalenza dei  confini dei due imperi come se, complice la ragion d’essere della Nato,  continuassimo a vivere nella guerra fredda.

Ora, pur nella sua estrema sintesi, questo è il contesto in cui collocare l’imprevedibile e criminale invasione russa. Non lo dico ovviamente per prendere semplicemente atto di un’azione che resta ignobile e disumana ma per individuare attraverso gli eventi di questi ultimi otto e per nulla pacifici anni su che cosa fare leva per giungere a un cessate il fuoco e a una soluzione pacifica del conflitto. I fulcri su cui far leva rappresentano per ora il pesante retropensiero dei negoziati incentrati sui corridoi umanitari.

L’ultimo incontro nella cittadina turca di Antalya  tra Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, e Dimitri Kuleba, ministro degli Esteri ucraino, alla presenza del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu,  ha cercato di pianificare l’agenda per affrontare nei prossimi giorni tregue e futuri incontri tra Putin e Zelensky. Ma i contenuti più bollenti su cui dovrà necessariamente aprirsi la discussione non potrà che essere ciò che ribolle da tempo in un’area geopoliticamente  delicatissima: l’assorbimento dell’Ucraina nella UE e il cappello NATO, la neutralità di Kiev e il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, oltre che delle repubbliche indipendenti del Donbass. Lo stesso  Zelensky sembra aprire a queste prospettive. Ora, non è nelle mie intenzioni entrare nel merito di queste rivendicazioni. Giuste o sbagliate che siano non si possono rimuovere come se non esistessero. Quello che voglio sottolineare è che da molto tempo avrebbero dovuto essere oggetto d’attenzione dell’Europa e degli Usa che hanno invece preferito il braccio di ferro applicando pesanti sanzioni nei confronti della Russia. Forse, ma speriamo di sì, potrebbero rientrare nella discussione  rappresentando il contenuto reale dei negoziati e fermare il massacro. Si può tenere la posizione resistente, ci mancherebbe!  Illudersi però che Putin si fermi dopo un evidente fallimento del blitz krieg è illusorio.  Dunque, gettare altra benzina sul fuoco è fuorviante proprio ora che sembrano aprirsi spiragli. Quello del negoziato, malgrado le forze impari (checché se ne dica) sul campo, rimane perciò la strada maestra, per quanto sia possibile. Oltre, c’è il rischio di una guerra estesa,  mondiale. Dopo di che non sarà più una labile questione di giusto e ingiusto ma di mera sopravvivenza.

 

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Mauro Carabelli

Giornalista

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