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Armageddon può aspettare

antonov

(Mauro Carabelli) Sta destando non poche preoccupazioni il bombardamento da parte di Mosca di una base militare usata anche dalla Nato a due passi dalla Polonia. Che si sia trattato di un attacco teso a decapitare un centro di smistamento degli aiuti bellici all’Ucraina o un innalzamento intimidatorio dell’asticella nei confronti della Nato è certo che mai come ora si sia giunti a un passo da una mondializzazione dello scontro in atto.

E’ forse troppo presto per parlare di possibile scivolamento in un conflitto con opzioni nucleari di bassa o media intensità.   Ma siamo in una situazione in cui un possibile effetto domino sul piano militare non sia destinato a sciogliersi come puro allarmismo. Nelle strategie militari di mezzo mondo, come extrema ratio, già è un’opzione servirsi di ordigni tattici nucleari al neutrone o al californio destinati a sostenere operazioni convenzionali di piccolo e medio raggio. Per fare un esempio, un proiettile al californio sparato da una comune pistola avrebbe un impatto distruttivo pari a circa dieci tonnellate di tritolo. Relativamente bassa se dovessimo paragonarla alla devastante esplosione dell’atomica su Hiroshima paragonabile a 15 mila tonnellate di TNT. Ma non per questo il proiettile al californio è meno devastante anche collateralmente se usato su un “convenzionale” terreno militare a ridosso del nemico. Per non parlare di bombe a mano della stessa tipologia che potrebbero cambiare rapidamente e drammaticamente le sorti di un conflitto senza però rischiare di renderlo totale. Poche o tante le conseguenze dell’impatto, possiamo immaginare come in questi casi si sappia come contenere  l’urto ma non si sappia necessariamente fin dove si rischi di espandere la nuclearizzazione. E’ possibile che la minaccia di ricorrere a una guerra nucleare con queste caratteristiche faccia parte della propaganda politico militare e rimanga solo nelle nervature muscolari dei contendenti.  Ma se la tensione non dovesse cessare e il mondo continuasse a dividersi esasperatamente tra buoni e cattivi, angeli e demoni, come in una sorta di Armageddon  geopolitico finale, si rischierebbe la catastrofe perché, a monte, non si coglierebbe, volutamente o meno, la progressione storica che ha portato Putin all’azione criminale di invadere l’Ucraina. Una progressione che parte da lontano con il dissolvimento del patto di Varsavia e il rafforzamento della Nato verso Oriente, la ricomposizione dei valori della “Grande Madre Russia” e lo scontro con la “decadente” globalizzazione occidentale. Si allontanerebbe così la possibilità di negoziati seri in cui devono partecipare non solo Russia e Ucraina ma anche i convitati di pietra come USA e Cina nonché le chiese Orientali e Occidentali.

Non dimentichiamo poi che Russia e Cina, all’indomani delle olimpiadi invernali di Pechino, hanno sottoscritto un ferreo documento politico, economico e militare di mutua assistenza in cui, tra l’altro, la Russia lascerebbe mano libera alla Cina nella gestione di Taiwan. In questa spasmodica lotta contro il tempo per evitare il peggio, non a caso si è aperto un summit a Roma  tra il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan e il suo omologo cinese, Yang Jiechi, nonché il consigliere diplomatico di Mario Draghi , Luigi Mattiolo. Dialogo difficile ma prodromo di qualche spiraglio, dunque. L’aspetto interessante è che la Cina, in questa occasione, dimostra di essere fondamentale nel trovare una soluzione alla crisi. E il presidente americano Biden l’ha finalmente capita.

La posta in gioco da anni è sempre stata quella di accettare la richiesta russa di un’Ucraina semplicemente “neutrale” e lontano dalla Nato, riconoscendole piena indipendenza. Insomma, una sorta di  stato cuscinetto. Crimea e Donbass sono le conseguenze del cinico silenzio europeo.  Certo, se si volesse interpretare la richiesta russa con l’indeterminatezza dei massimi sistemi filosofici avrebbe senso nutrire più di un dubbio. Se invece si fosse a suo tempo affrontata e gestita, con necessario realismo, la crisi dentro l’ambivalente espansione tra due imperi e i loro valori o disvalori che dir si voglia, forse ci sarebbe stata più ragionevolezza e meno ipocrisia e non ci si troverebbe a un passo dal precipizio.   Non l’hanno capita tutti coloro che, prescindendo dall’innegabile aggressione della Russia di Putin ai danni di un altro stato, non sono in grado di allargare la lettura della crisi in atto e dei motivi che l’hanno generata.   Basterebbe leggere i media locali o ad assistere ai talk show nostrani per rendersi conto dell’elementarità professionale o dell’inutile manicheismo con cui si affronta l’argomento. Non stiamo assistendo alla battaglia di Alamo retoricamente illustrata da qualche film americano.  La Russia ha torto, è innegabile. Ma l’Occidente ha le sue responsabilità. Dunque, ci sia consapevolezza e ci si risintonizzi sulle reali richieste ignorate da tempo! Tenendo presente che non è sempre vero che per arrivare autorevolmente ad un negoziato sia necessario soffiare sul fuoco, calcarsi sulla testa l’elmetto illudendosi di rispondere adeguatamente, colpo su colpo, all’aggressività del nemico in un’interminabile spirale di violenza.  Non è solo una questione tra Ucraina e Russia. La Cina sta entrando in gioco e l’America pure! E né le sanzioni, né lo stracciarsi le vesti tanto più l’invio di armi all’Ucraina stanno pareggiando il livello dello scontro sino a neutralizzarlo, anzi.

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Mauro Carabelli

Giornalista

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